Bettina Judd, Empatia

Foto di Orna Wachman da Pixabay

EMPATIA (On Empathy)

suona come un uccello che si frantuma le piccole ossa contro un vetro. il meno importante tra gli uccelli, un passero, certo. stai per servire la cena e questa è la scena. dai pure la colpa all’uccello, alle finestre irriguardose, prova a non pensare al problema del sangue, dello schizzo di viola nel crepuscolo. come puoi mangiare dopo tutto questo? non ci pensare a chi incolpare quando il meno importante di noi irrompe da un momento all’altro. una vetrata che si apre su un’altra. il meno importante di noi che ti rovina il pasto.

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l’odore sarà di fumo e di rancido. ne borbotterai per giorni, dell’ingiustizia di quella poltiglia sulla tua finestra. sciocco uccello. civiltà, agiatezza. casa con vista. fottuta mangiatoia per uccelli. ti ci vorrà una settimana – mentre la carne inizia a marcire sotto le penne che si assottigliano, mentre il sangue si è rappreso e incollato  – per capire che nessuno verrà a prelevare il corpo. è il tuo uccello morto. il tuo vetro. pensi alle alternative. affittare. cambiar casa. lasciarlo lì per gli uccelli più grandi, più neri.

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sentirai il marcio proprio sulla punta della lingua. così intenso da doverti accertare che non provenga da te. l’uccello ha pur diritto a qualcosa. vai nel ripostiglio, tiri fuori una scatola da scarpe. scontate? griffate? inizi a pensare a come è potuto succedere: riflettere sulla tua mortalità per mezzo di un uccello. morto. non importa. non avverti certo come un tuo problema evitare di finire contro le finestre.

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è un obbrobrio, iniziamo ad ammassarci come grandi nubi nel tuo giardino. ti meravigli di noi che, bellissimi, riuniamo e lanciamo i nostri corpi scuri dal cielo bianco giù sul tuo prato. e poi accade. altre ossa e sangue. uno per uno ci schiantiamo sulla vetrata chiusa. uccelli dementi. penne marroni e grigie. sporchi parassiti. eccone un altro. fottuta mangiatoia. sembriamo miliardi, nel librarci in volo e poi—in frantumi.

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potresti vederci una delicata umiltà, nell’arte di pulire i vetri. mentre lo fai sopporti piccoli squarci di carne viva. le punte delle tue dita cantano. schegge, un massacro: è troppo. raccogli con cura tutto ciò che vedi. chiami qualcuno a fare le riparazioni. raccogli con cura tutto ciò che vedi. getti ogni cosa in grossi lucidi sacchi per la spazzatura. raccogli con cura tutto ciò che vedi. pensi se sia il caso di mettere una porta finestra. raccogli con cura tutto ciò che vedi, e ancora ne trovi, a ogni giro a piedi nudi per quel bagno di sangue che è casa tua.

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«Ho scritto questa poesia dopo dibattiti pubblici e discussioni private sulla mancanza di empatia; l’empatia presuppone un interesse condiviso e reciproco, quando non il potere. Questo è un rovello per il Popolo Nero: la semplice dichiarazione che le nostre vite sono importanti produce un misto di polemica e agitazione. È possibile che la risposta sia il disagio – non l’empatia, ma un aperto e persistente stato di disagio – e sono snervata dal costo che questo potrà avere per il Popolo Nero» — Bettina Judd.

BETTINA JUDD è una scrittrice, docente e artista afroamericana. La sua raccolta più famosa, Patient, è un’analisi poetica del razzismo scientifico nell’America del 19esimo secolo, alternata con la propria, deumanizzante storia clinica personale (wikipedia). Patient ha vinto il Black Lawrence Press Hudson Prize 2013 ed è stata pubblicata dalla omonima casa editrice nel 2014.
English version (original poem) on poets.org © Bettina Judd 2020. All rights reserved.
Questa traduzione / this translation: Roberto R. Corsi – CC BY-NC-ND 4.0