La “detestata soglia” di Günter Kunert

Il poeta nel 2008, Copyright: Das blaue Sofa / Club Bertelsmann (Blaues Sofa from Berlin, Deutschland, CC BY 2.0, attraverso Wikimedia Commons)

Ottantanove liriche date alle stampe nel duemilasei, tutte aperte dal soggetto obbligato (“Der alte Mann”, il vecchio) che è anche il titolo della raccolta, e inframezzate da alcuni disegni dello stesso Autore: la casa editrice Kolibris di Chiara De Luca porta alla nostra attenzione, con la traduzione di Luca Viglialoro, una höchste Stimme della letteratura tedesca.
L’esistenza di Günter Kunert ha avuto spesso risvolti drammatici: persecuzioni e discriminazioni a motivo della madre ebrea durante il nazismo (gli fu tra l’altro impedito di completare gli studi) e, nel dopoguerra, vessazioni per l’atteggiamento spesso critico – sia pur dall’interno – verso l’intellighenzia culturale della DDR, dalla quale fuggirà nel 1979 per stabilirsi definitivamente nell’estremo nord della Repubblica Federale, a Kaisborstel (Schleswig-Holstein) (edit: è venuto a mancare nel 2019).
Questo ciclo di poesie, assieme a una collazione di prose uscita in questo stesso anno (Uomo in mare), costituisce l’unica opera di Kunert tradotta in italiano negli ultimi decenni; per trovarne altre bisogna risalire al biennio 1969-70 col romanzo In nome dei cappelli e la raccolta poetica Ricordo di un pianeta, oltretutto mai più ristampati. Alcune sue poesie compaiono infine in una rassegna di poesia tedesca curata da Anna Chiarloni nel 1994. Troppo poco per un Artista poliedrico (apprezzato sceneggiatore e pittore, per dirne due), scrittore con un centinaio (sic!) di libri all’attivo, percepito da molti in patria come coscienza collettiva per aver attraversato le principali aberrazioni della storia tedesca, fino a poter narrare anche la Germania riunificata.

Come ci avverte il prefatore Matteo Fantuzzi, la ventata sociale che da sempre soffia lungo l’opera dello scrittore conosce qui un calo se non una bonaccia; questo benché l’impatto demografico della terza e quarta età, qui certamente trattata in soggettiva, sia una grande e ineludibile questione sociale dei tempi a venire.
L’epos gerontocentrico tracciato da Kunert (classe 1929) è comunque quello di tutti noi, nella misura in cui la vecchiaia costringe o costringerà a porre in un cassetto, ove mai le avessimo esercitate, le nostre magniloquenze. Oltre al dialogo con la propria anima è spesso l’odiato impiccio del corpo a risaltare e a prendere la scena. Ne risulta un affresco polifonico: alla frustrazione delle pratiche più semplici (vestizione) fino agli istinti sessuali che a fatica si rassegnano alla defaillance, fa inevitabilmente compagnia un punto fermo, cioè la considerazione della vicinanza alla morte (che aleggia spesso in coda alle liriche, ma nel complesso ovunque: persino un breve affrancamento dalla routine, in forma di viaggio-premio, ha per destinazione una necropoli!); morte a sua volta declinata nelle costanti prodromiche del silenzio, della solitudine (come affollata impenetrabilità di corpi e spiriti, verticalmente propagantesi sino alla divinità), della dipartita dei coetanei.

IL VECCHIO/ apre la finestra/ sul cortile e dice:/ silenzio! Ho bisogno/ di silenzio. Nel cortile c’è/ un anziano castagno, che dolcemente/ lascia andare le foglie,/ nessun altro. (p. 91)

IL VECCHIO/ nota: ha/ un sosia. E/ un altro. E/ un altro ancora. Tante tristi/ imitazioni. Quasi un genio/ maligno volesse ingannarmi./ Ovunque vada, loro/ sono già là, barcollanti,/ zoppicanti, lamentosi,/ gementi, amareggiati e/ ostinati. Copie dell’Io/ originale, tenuti a distanza da un debole/ saluto, indifeso di fronte/ alla congiura/ dell’impietoso calendario. (p. 9)

Ma sbaglierebbe chi s’aspettasse una lacerante retroversione à la Leopardi (o del Kavafis osservatore degli anziani): la mistura di autoironia e fatalismo, figli di un esistenzialismo spontaneamente imbracciato nel vivo della parabola creativa di Kunert, non permette di bollare interamente né come terra di rimpianti il passato né, all’opposto, come serena accettazione il ristretto orizzonte. Il declino dei sensi si sposa con la sfocatura del senso.

IL VECCHIO/ compra un clown di latta/ a carica. Il clown/ suona i piatti/ e gira in tondo. Così/ è la vita, dice il clown/ al vecchio. Chi/ ne dubita è/ un clown. Come noi due. (p. 147)

IL VECCHIO/ si volge al passato./ Sono pronto al resumée. Aprire/ il libro mastro. Cosa/ ho vinto! Questo, e quello/ quest’altro no. Soltanto/ le aurore, poi più morto/ di Goethe. Risultato: i delitti/ sono il premio del mondo. Cosa/ che in realtà già sapevo. (p. 97)

IL VECCHIO/ si lambicca: cos’è/ la felicità. Il contrario/ dell’infelicità. Se non sono/ infelice, come posso/ sapere cos’è la felicità?/ Bene, è qualcosa che riposa nel sarcofago/ del cervello, un po’ come una graziosa mummia,/ avvolta in bende di ricordi/ su ognuna la stessa frase:/ mentre questo accadeva, era/ già stato. (p. 177)

IL VECCHIO/ guarda col binocolo/ dalla finestra. È diventato/ piccolo il mondo, ma/ mi si avvicina troppo/ alla pelliccia. Se giri/ la rotellina sfuma/ in variopinta indistinzione,/ in pura verità. (p. 77)

Non sempre mi trovo avvinto dal – liberissimo – disporsi in versi di Kunert, in particolare quando la sua – fervida – invenzione poetica chiede voli maieutici a un soggetto che ama – per scelta lessicale aderente al quotidiano, nonostante il chiaro sentore autobiografico – mantenersi in pianura (si veda come esempio l’episodio dell’ufficio oggetti smarriti). Ma, nel suo generoso comporsi in sinfonico e in ostinato ritmico, la raccolta sublima le singole liriche in una chanson de (petit) geste che va senz’altro approfondita. A sé sta poi il debito di conoscenza che la nostra cultura ha con questa notevole personalità, il che rende la lettura ancor meno differibile.

[Günter Kunert, Il vecchio parla con la sua anima, trad. di Luca Viglialoro, Bologna: Edizioni Kolibris, 2010, pp. 210]

  • la pagina del libro (con ulteriore scelta di liriche)
  • una scelta di liriche anteriori tradotte da Vincenzo Gallico sul blog La dimora del tempo sospeso (cfr. in particolare la poesia dedicata a Berlino, città natale dell’Autore, lirica che mi pare abbia un approccio comune alla raccolta di cui ci siamo occupati)
  • la voce biobibliografica su de.wikipedia