Dimitri Milleri, Sistemi

Parco di Villa la Torraccia, sede della Scuola di Musica di Fiesole (I, Sailko, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons)

Uscito, giorno più giorno meno, esattamente un anno fa, Sistemi di Dimitri Milleri (Interno Poesia, 2020) ha il crisma dell’eccellenza e il carisma del suo giovane autore, col quale condivido l’amore per la classica (a maggior ragione perché lui, laureato in chitarra, ne è anche interprete e docente). Ma nel quale, anche al di là della comune musicofilia, non si fatica a riconoscere ispirazione, studio, coraggio.

La prefazione chiara e acuta di Maria Borio dice già tanto sulla qualità strutturale e compositiva di Sistemi. A partire dalla tripartizione aggettivale in sezioni: [Sistemi] Detentivi / Complessi / Chiusi. Provo a glossare: la mente e le sue carceri (non d’invenzione!); interazione soggettiva multipla – in fieri (puntini di sospensione a p. 47) ma con finale obbligato a p. 49; interazione a due – ab ovo usque ad mala. “Complessi” e “Chiusi”, azzardo, con possibile valenza, rispettivamente psicologica e toponomastica, a sé stante. La poeta e saggista umbra prosegue con considerazioni testuali e musicali cui vi rimando senz’altro.

Mi sono giovato di due parziali anteprime di quest’opera durante il 2019.
Prima con l’inclusione di Milleri in coda al primo volume di Poeti italiani nati negli anni ‘80 e ‘90, con la cura di Giulia Martini e una presentazione di Davide Castiglione (che poi ha dedicato a Sistemi anche un’autonoma e accuratissima critica). Tra le sei poesie allora proposte, alcune – molto potenti e apprezzate – sono confluite in Sistemi in posizioni nevralgiche: Quando si abita il panico, lo sgomento (p. 18, seconda poesia del libro) Il padre conquista (p. 38, seconda della sezione poematica mediana); Corrispondenze? Certo, come ieri (p. 63, poesia di chiusura). Potete leggere la prima e la terza sul sito dell’Editore.
Altra preview poche settimane dopo, quando ho potuto presentare ai lettori di Perìgeion quattro ulteriori poesie, di cui due scelte in seguito per il libro: tra esse, la prima sarà quella che, col titolo Avvertenze, apre Sistemi (p. 17); e nel lit-blog potete ammirarne anche la originaria disposizione “a punta di freccia” (devo a Dimitri la scoperta di “span style margin left”. Smile. Però stavolta non posso usarlo perché col tablet è un macello).

Già ai tempi della proposta Perigea mi parve il caso di sottolineare un aspetto importante: certe poesie di Dimitri, in primis Corrispondenze, restituiscono una idealità “procedimentale” che me le rende quasi metapoesia per exempla. Davvero adamantino, proprio nel testo di congedo del libro, è il fluire della poesia dal fenomeno (l’osservazione) – alla intuizione analogica che da sempre considero il volano della più raffinata poesia – fino alla gnome, cioè alla massima, condita da un sapiente uso lemmatico (“approssima”).
Questo salto da osservazione a gnome – che è nei neuroni del poeta di rango, prima ancora che sulla carta – lo troviamo implicitamente, stavolta come considerazione sulla ciclicità di certe prove della vita, in un’altra poesia esemplare della prima sezione, Chi si aspettava che la sala prove (p. 24) nella quale il poeta conferma anche la meritoria, spiccata confessionalità che lo contraddistingue.

Ma ciò non esaurisce lo strumentario di Milleri: ed è solo l’esperienza piena del libro a poterci dar conto della tavolozza di tecniche quali cluster (p. 18: “che cosa hai mai, lo sai: / sai che”) anticlimax (p. 24: “senza scherzare adesso”), ripetizioni semplici (p. 25: “se anche sul buio adesso viene buio”; “gli annunciano lo stato nello stato”; p. 30: “Dov’è il bosco ingrato è la vita ingrata”) o incrociate (p. 28: “il buio si è aggiunto alle nuvole / e le nuvole al buio”); scarti (p. 26, prima terzina e ultimo distico) neologismi funzionali (“Arnogrumo” a p. 30) e con sentore di arcaismo (p. 22: “il disperdóno”, forse sulla scia di “dispietà”; cfr. anche Inf., XXX, 9), antinomia (p. 37: “piega la vanga a morte, ci dispiega”) e altro. Senza scordare l’attenzione metrica, gli episodi rimati e la intertestualità (a p. 18 la citazione di Dylan Thomas; la scelta del mese – Eliotiana o Luziana? – all’ultimo v. di p. 56; e chissà quante altre notazioni mi sono sfuggite).

Proprio in rapporto alla intertestualità, notevole è il procedimento di connessione tra le poesie VIII e IX (pp. 44-45) della seconda sezione, dove il riferimento – al v. 3 di VIII – alla “cremazione” di fatto determina un andamento strofico che alterna – con uno sguardo crudo e documentaristico, non certo da leitmotiv wagneriano! – quell’ “amore e morte” che ritroviamo condensato al v. 10 di IX (ed espresso sempre amaramente, ma con più lirismo, passim in questa ultima). Una sorta di ipertesto à rebours.

A tutti gli ingredienti va aggiunta una forza aforistica che, già evidente – e per quanto mi riguarda così attuale! – nell’apertura della seconda poesia, va mantenendosi anche lungo la parte più interpersonale del libro: paradigmatico, per tutti, lo splendido passaggio di p. 40: “la grazia / di chi ha lavato via da sé ogni scrupolo”. Nel libro scorre una corrente di cinismo desiderato ma chissà poi quanto voluto; essa si sublima con l’incontro “anti stilnovista” di p. 55 (con un “Neanche” forse apologetico) e con un moto di ammirazione verso la altrui “cattiveria / come un’idea di giustizia” (p. 60), leggibile come rigore estremo verso se stessi e rabbia generazionale o anche artistica verso “sistemi” in effetti chiusissimi e pervasi dal “Dunning-Kruger”.

Se aggiungiamo, alle limitazioni promozionali che si sono abbattute sui libri in uscita lungo il periodo pandemico, la recente constatazione di un grande narratore come Emanuele Trevi, secondo cui il libro ha ormai emivita inferiore a un prodotto caseario, consegue da parte mia una pienissima e accorata esortazione a leggere far leggere e amare questa raccolta, che per quanto mi riguarda è stata la miglior lettura in versi del 2020.

Auguro ogni successo a Sistemi e alle prossime opere del suo Autore.

***

Chi si aspettava che la sala prove
Factory Arezzo non fosse che a un mezzo
chilometrino dal centro salute
mentale, in quel duemilanove?

E chi, fra gli avventori della rude
stanza insonorizzata, la palude
d’adolescenza avrebbe detto allora
dieci anni dopo di trovarsi ancora
a spergiurare che la morte no!
Non c’era più nel cavo della mente
(senza scherzare adesso, balbuziente
di fronte alla seriosa commissione
revisione patente).

*

Sei tornato nel luogo dove incautamente
sei stato amato e per sempre la prima volta
dove si va a cavallo e i possidenti
vendono case ai tedeschi e agli americani.

Mi hai portato a vedere i tafani suggere
inutilmente il cofano ancora caldo
le more impicciolirsi e i rovi crescere
dove la via scolora allo sterrato.

Mi hai portato nel luogo dove coincidono
amore e morte: l’ala della rondine,
l’occhio grumoso del daino, quello buio del cervo
fartisi tutt’uno con piombo e polvere.

Dopo un lungo silenzio
senza fermare l’auto hai detto: “ecco
ora che hai visto tutto” ma un cinghiale
già ti smentiva a lato della sera.

*

Ne siamo usciti male solo questo
vorrebbero scambiarsi e non lo fanno.
Lo sanno e non lo dicono il fantasma
di aver potuto essere, cambiare:
sanno che passa, raramente appare
come un Saturno, un astro innominato.

In ogni modo l’hanno preservato
dai moti centrifughi della lingua
posticipando morti, collisioni
già consumate altrove, mentre sotto
come una velatura, mollemente
nidificava il parassita, l’evidenza

che alcune volte non puoi fare niente.

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Dimitri MILLERI, Sistemi, pref. M. Borio, Latiano: Interno Poesia, 2020, pp. 63, EAN 9788895583412, ebook n/d