Daria Gigli, Sotto la notte si fa casa

Il Ponte del Principe a Fiumetto (Viola Degl’Innocenti, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons)

Già dalle prime pagine di Sotto la notte si fa casa – seconda raccolta di Daria Gigli, edita come la precedente da Moretti & Vitali – si è investiti da un pirandelliano rigoglio lessicale. Che si esprime primariamente nella parola non consueta, con vari ambiti di provenienza e con una selezione, mi sembra, prettamente poetica, perché sovente votata a indurre nel lettore il dubbio del polisenso. Alcuni paradigmi nella seconda poesia del volume (p. 12); dove “ammascare” viene reso in transitivo («S’è ammascato qualcosa»), con ciò travalicando il suo primo significato vocabolaristico (perdita della rotta) e affiancandogli, sviluppandolo, il probabile etimo di “masca” (maschera, ma anche strega). Sulla stessa lunghezza d’onda la «buffa» come ventata, ma fors’anche come burla; ancora e più in là (p. 44), «s’ammusa il libeccio», sia nel senso di sfiorare col muso che in quello, toscano, di fare il broncio. Proprio i toscanismi recitano un ruolo non certo secondario lungo tutto il libro («zittóne», a p. 31, nella poesia dedicata a Lorenzo Viani; «mattaione», a p. 91; etc.); ciò unitamente alle ambientazioni e a certe figure che, specialmente nella parte centrale del libro, costituiscono i leitmotiv di tante – anche mie – esplorazioni liguri, apuane o versiliesi: la Magra, il «ponte del Granduca» (ossia, credo, il bel ponte del Principe – che è appunto il Granduca Leopoldo II – a Fiumetto), via del sale, l’alzaia, il pescatore alla lenza oppure il “colatore” di arselle. Nella poesia di p. 12 da cui siamo partiti, poi, la «barbantana» (strega carrarina, I presume) si lega a Robert Schumann in un gustosissimo dittongo tra elemento popolare ed elemento colto, introducendoci a un altro serbatoio sapienziale del libro, forse il più importante: quello musicale classico (strumentale e lirico, con veramente tantissimi richiami, che in parte vedremo anche qui sotto). Pure alcuni esotismi, per es. «pronostico caldeo» (sempre p. 12) e soprattutto «gaelico rivierasco» (p. 77), mi appaiono di forte e immaginifico valore figurato. Non mancano ovviamente i richiami letterari (almeno a Leopardi e Prévert) e quelli che giungono all’A. dalla sua professione e dalla ricerca (lo Sfero a p. 48; il latino di p. 14; il digamma, nel suo valore astratto di “contrada morta” dell’alfabeto greco, a p. 65).

Questo imponente strumentario, che ho voluto esemplificare solo in parte, sarebbe forse fine a se stesso se non gli facesse da contraltare la capacità dell’A. di tenerlo soffice, miscelandolo con altri elementi formali e inventivi sempre sotto controllo: una versificazione libera ma sensibile alla gravitazione rimaria. Poi un’intelligenza figurale e sinestesica non comune, e qui vanno citati almeno due casi: la sinestesia anemofila a p. 64 («Va di bolina | la luce nel bosco») e la poesia della già citata Magra, a p. 45, dove un gigantesco iperbato racchiude l’intuizione di assimilare ritmo e notazione dell’anapesto (due piedi brevi, poi uno lungo) al distendersi improvviso del fiume dopo le anse, trasfigurandolo in possibile pista di allunaggio.

A coronamento di ciò, la struttura architettonica del libro. Il cd. macrotesto, pour les plus engagés. Una struttura presente già nelle singole poesie (si veda il «lassù… in fondo» dell’incontro col cinghiale a p. 41; addirittura intertestuale all’interno delle varie sezioni (così mi piace leggere il dittico alle pp. 55 e 61, che a breve distanza contrappone – o sovrappone? – uno che «s’illude» per lo spuntare della luna al «mesto mattiniero | alla finestra»).

Ma il disegno della raccolta passa soprattutto per la disposizione tematica, e dei protagonisti – veri e propri Dioscuri, figure che aprono e chiudono il libro. Nella prima sezione, nata verosimilmente lungo la «clausura» da lockdown, conosciamo Il precettore; la quarta e ultima è invece totalmente dedicata a Il trickster. Presenze – una austera e timida, l’altra dispettosa e funambolica – dentro le stanze e lungo gli studi di Daria. Eusebio e… Puck, si potrebbe dire; perché, se Schumann è espressamente menzionato, non posso non pensare a La danse de Puck di Debussy – anch’essa in posizione caudale, penultima nel primo libro dei Préludes. E, guarda caso, compare un gradus (ad Parnassum?!) dal sentore Debussiano nella penultima poesia (del trickster e) del libro, a p. 103; poesia che nel suo incipit, in ogni caso, salda lessicologia e musica, così certificando il grande ruolo che la classica riveste in questa raccolta.

Va da sé che, anche a prescindere dalle mie divagazioni musicofile, una delle plausibili letture è quella di considerare precettore e trickster come proiezioni, motori dialettici del pensiero intellettuale e poetico dell’A.; proprio come in Schumann coesistevano Eusebio e Florestano (quest’ultimo lo abbiamo lasciato in panchina, e spero non si vendichi). Se avalliamo questa prospettiva, sarà gioco facile evocare anche il terzo personaggio Schumanniano, Maestro Raro. E scorgere in lui Daria stessa, la sua sensibilità di scrittura, l’equilibrio che si sostanzia nelle due sezioni mediane del libro. È infatti tra i due pilastri-Dioscuri, al centro – ossia nella sezione eponima e nella traboccante onnipresenza, peraltro anticipata in limine dalla lirica panica a p. 66 – che la poesia di Gigli prima si distilla e poi si apre negli squarci vedutisti, ritrattistici, gnomici. Questo, per concludere, solo a rimarcare una differenza di ecosistemi, senza alcun giudizio di prevalenza per qualsivoglia dei tre personaggi e dei loro arenghi; perché, se è vero che la parte centrale del libro offre risultanze ariose e “canoniche”, l’andamento mercuriale e dotto ai due estremi del libro sa altrettanto avvincermi. Annoverando, tra le prove migliori, anche la superba poesia “titanica” di coda; poesia cui non accenno per non turbare il piacere della lettura che questa pregevole raccolta saprà darvi.

[Daria GIGLI, Sotto la notte si fa casa, Bergamo: Moretti & Vitali, 2022, pp. 107, EAN 9788871868745, ebook n/d]