Ottiero Ottieri, Il pensiero perverso (nuova ed.)

[preambolo marcatamente egoriferito] Oggi cadono quindici anni esatti dalla mia prima timida… recensione? Annotazione? Solitamente pensare a quelle piccole fiammiferaie delle mie recensioni mi deprime, pertanto non avevo in mente di fare uscire la ricorrenza dalla scatola cranica; ma sono stato piacevolmente sorpreso da una citazione che mi riguarda, dentro un libro uscito proprio una settimana fa. Si tratta di una operazione importante e meritoria: la nuova edizione de “Il pensiero perverso” di Ottiero Ottieri, per i tipi di Interno Poesia, con una postfazione di Edoardo Albinati e una nota filologica di Demetrio Marra.

Il poema di Ottieri, primo titolo della sua “svolta”, risale al 1971 (Bompiani), poi ricompare in quel “libro giallo” Marsilio, del 1986, mai più ristampato, che contiene anche la seconda prova (“La corda corta”) e ottanta altre poesie. Fino a oggi, dunque, studiare la prima poetica di Ottieri comportava la frequentazione della biblioteca o, per i bibliofili, la fortuna di procacciarsi libri divenuti piuttosto rari, dunque anche costosi. Ecco pertanto, nel colmare un vuoto significativo, già una nota di merito della nuova edizione; sperando che il ripescaggio si estenda in futuro anche a “La corda corta”, e al restante che di Ottieri è finito fuori catalogo.

Proprio in biblioteca mi recai ormai parecchi anni fa, spinto da una ambiziosa idea progettuale di annotare tutto l’Ottieri in versi. Ne uscii col libro giallo in questione (e altro). Stilai alcune annotazioni sul cloud, ma il progetto poi si perse nei fumi della pigrizia e della frustrazione. A luglio 2020, lungo la prima estate del virocene, ripescai le mie considerazioni sul libro, in un post… che oggi trovo citato nel libro, in nota al lavoro di Marra. La gratitudine verso Demetrio, che studia Ottieri da anni e autorevolmente, si amplifica con la personale ricorrenza novembrina. Quest’anno, poi, la giornata odierna coincide col Thanksgiving e quindi tutto è propizio per “la resa del grazie”, per citare un titolo di Paola Mancinelli.

[Fine del preambolo egoriferito. Sul contenuto del nuovo libro, adesso.] Per i versi di Ottieri rinvio, in prima battuta, a quanto ho scritto, spero con sufficiente ampiezza, nel post del 2020. Naturalmente, in questa settimana ho operato più letture “standalone” del nuovo libro, senza accompagnarlo con le altre opere del libro giallo. Letture che hanno un po’ mitigato alcuni giudizi dati anni fa, dove rinvenivo la miglior sostanza poetica nelle splendide aperture di alcune sezioni: ora gli riconosco maggiore uniformità, in coerenza col carattere stocastico, non macrotestuale, che spesso assume ogni (enorme) flusso di coscienza. Riporto al proposito lo stralcio da una conversazione tra Ottiero e Maria Pace, citata a p. 172 della nuova edizione: «Durante la seduta c’è sempre un momento in cui il paziente dice “E allora?” e l’analista risponde “Dica quello che le viene in mente”». Una gigantesca seduta autoanalitica spezzata in versi liberi, ove affiorano grumi sotto forma di assonanze e rime che spesse volte sembrano un ribattuto, un ostinato ritmico dell’ossessione.

Un tema affascinante che scorre lungo tutto il poema è quello del rapporto tra ossessione e arte: blocco, impasse che però non è impasse, è cadenza d’inganno, almeno nella misura in cui il pensiero ossessivo, totalizzante, alterum non recognoscens, consente però a piene mani la autoanalisi e il racconto di sé. Tanto per pacificarci con la qualità delle “chiuse”, e poco prima di uno dei più noti e begli attacchi («Deve affrontare la vita senza le spalle | coperte dall’arte | e l’arte con le turbe della vita.», qui a p. 25), ecco una bella immagine nella coda che lo precede, a p. 24.

Similitudine “di foce” che mi fa, se posso contrapporre il mio ego a quello di Ottieri, pensare a un quadro di Carlo Carrà (Foce del Cinquale, 1928) cui dedicai anche io una diaphrasis (la leggete qui dentro), evidentemente per la suscettibilità della immagine dell’estuario a suggerire riflessioni esistenziali.

Ora qualche parola sull’apparato di questa edizione. Di grande impatto è la postfazione di Albinati, declinata in “dieci ipotesi” su Ottieri. Osservazioni dal taglio discorsivo, ma provvide di percorsi ricostruttivi. Albinati sembra centrare, con le sue riflessioni, il cuore della poesia di Ottieri. Specie nelle prime tre parti, Albinati ci porta a riflettere su aspetti cruciali: per es. sul grottesco come forma sublime del tragico (Beckett, Shakespeare, Kott… vi ammorbo spesso col concetto, lo so). Sul doloroso ma impareggiabile luminol nello sguardo del depresso. Ma soprattutto sulla fenomenologia della scrittura egoriferita, anzi sulla sua necessità, sulla sua fondamentale ineludibilità. Questo forse è il valore più autentico dell’Ottieri poetico e assieme la stella polare di chiunque voglia riflettere su io lirico e sua “fortiniana” scomparsa (a proposito di Fortini: vedo il noto, caustico epigramma su Ottieri, come la reazione emotiva di un fan improvvisamente tradito). Ben vero che l’io lirico qui si declina soprattutto come “io clinico”; ma ciascuno può verificare, non solo nel verso ma anche nel poetico vivere e relazionarsi, come narcisismo dei poeti e ferita sottostante (come ogni narcisismo che si rispetti; se non altre, quella della ridicolizzazione della poesia e del poeta messa in opera dalla odierna società) siano installazioni persistenti, croniche, impossibili da formattare, estirpare del tutto. Ecco che Il pensiero perverso può avere, per ogni poeta dubbioso sulle proprie stelle fisse, valore complessivo e metatestuale: problematico e, viste le tendenze recenti, persino apologetico.

Il contributo di Marra è altrettanto significativo. Etichettandosi come nota filologica, prende le mosse motivando – con tanto di riproduzioni fotografiche – una scelta editoriale forte, quella di seguire il manoscritto presentando gran parte del poema in foglio singolo, lasciando bianche le pagine pari del libro. Vengono indagati con acribia recto e verso, margini, stacchi e segni. Ma Marra non si arresta qui e giunge a propugnare una tesi che si sposta dalla stretta filologia verso la critica: quella della tecnica versale di Ottieri come “sismografia” della ossessione – versi, cioè, mimetici dei processi cerebrali. In particolare, annota Marra a p. 173, si può apprezzare «un ritmo sussultorio, che si avverte soprattutto vicino all’epicentro del sisma-episodio» nel contesto di un discorso generalmente “ondulatorio”, lungo. La tesi è sottoposta a verifica dal suo stesso estensore, che con correttezza e rigore dà ampio spazio al parere contrario di Carla Benedetti, citandone le argomentazioni e ragionandoci sopra.

Ognuno potrà farsi una idea sulla tesi di Marra, che io non trovo affatto peregrina, e la cui radice indovino nella grande domanda che lo stesso Ottieri (e noi con lui, a maggior ragione) si fa, cui prova/proviamo a rispondere: il perché della virata da prosa a poesia. La dicotomia tra prosa e poesia trova un appiglio testuale nel poema, a p. 53: «Non ha trovato né rotto lo schema, | sta fra la prosa e il verso, | suddito del pensiero perverso». Ma è nelle fonti portate da Marra – interventi, versioni preparatorie del poema – che il discorso si arricchisce significativamente di elementi e indizi. Per parte mia, apprezzo soprattutto il richiamo, nella già citata conversazione di p. 172, alla possibile funzione della poesia di «intermediario tra la vita e la filosofia». E lo trovo una chiave interessante se unito col passaggio di p.37: «Frantumata la vita l’ambivalenza | sfarina l’arte». In questo efficace binomio verbale che ho reso in corsivo, nella constatazione di un nesso di causalità tra vita e arte che subiscono entrambe una disgregazione della loro unità lineare, vedo già in nuce l’opzione “obbligata” per un discorso poetico, frammentato. Filosoficamente mimetico.

[Ottiero OTTIERI, Il pensiero perverso, postfaz. E. Albinati, nota filologica D. Marra, Latiano: Interno Poesia, 2022, pp. 183, EAN 9788885583801, ebook n/d]