Roberto Minardi, Concerto per l’inizio del secolo

(Seguace di) Hieronymus BOSCH, Il concerto nell’uovo, ca. 1561, Lille, Palazzo delle Belle Arti (Seguace di Hieronymus Bosch, Public domain, attraverso Wikimedia Commons)

Non c’è quasi nulla da aggiungere alla prefazione di dignità monografica (8 pp. e sedici giorni di stesura) di Davide Castiglione, che conduce il lettore lungo le scelte tematiche, lessicali e stilistiche dell’opera di Roberto Minardi, con in più una dimensione in ogni senso militante, cioè non solo relativa a un Autore vivente ma anche appassionata, dedita a evidenziare, sfrondare, impedire frettolosi deragliamenti.

L’unica cosa su cui non concordo con Davide, che scrive letteralmente di un mancato cedimento di Minardi “all’escamotage di stemperare l’innalzamento con l’ironia”, è che io di ironia in Concerto per l’inizio del secolo — in questo libro solo apparentemente granitico, ne ho trovata eccome, e senza alcun detrimento (rimanendo ben chiara la portata di ogni enunciato; in più ovviamente chi scrive ritiene l’ironia un meccanismo di sovradeterminazione, non certo uno stemperamento). Chiamiamola eventualmente sarcasmo, a seconda della nostra disposizione temperamentale: ma non saprei come altro definire titoli illuminati come “Il romanticismo del commercialista” (p. 27) o “Il magazziniere cristiano” (p.56) che almeno ai miei occhi sanno concentrare e sublimare in uno o due sintagmi, come solo ironia e sarcasmo sanno fare, alcune storture esistenziali ed etiche tra le maggiori del mondo in cui viviamo.

Trovo nella raccolta perfino un esempio di ironia/sarcasmo “ipertestuale”: alcuni passaggi dolenti del bel poema d’apertura (“Tema della fine”, p. 19), nello specifico il riferimento alla bottiglia vacante e ai granchi della prima e seconda strofa, nonché l’attacco della quinta (non saremmo dovuti avviarci verso l’oceano / se tutto si conclude fra la battigia e lo scoglio che sbuca), si sviluppa nella poesia pentastica di p. 31:

*

MARE

cuore di spadaccino che mai trafiggerebbe
perlustra la battigia con amore, a mani vuote
raccoglie un flacone ammaccato
così forte è la luce che l’azzurro della plastica sbiadisce
ogni tinta scolora, ogni ragionamento scioglie

con le orme dei suoi più che bianchi piedi prosegue
così facendo trae in salvo il mare, la terra
è la mobile arena che l’andamento storce
affossa le caviglie dell’uomo dell’urbe
lascia la ferocia dei raggi fare il corso che deve

oltre la storia uno scafo compie un mezzo cerchio
le sue pernacchie al largo spadroneggiano
per credere nei secoli c’è il mare, un galleggiante rosso
si affaccia da un triangolo di luce che scoppietta
non resta che tacere, in controluce squaglia ogni certezza

– la barchetta nel lavandino colmo dell’infanzia pescava
pesantissimi tonni il lupo di mare –
sognarsi isola e non robot, eliminare la rissa dal petto
così rimette i sandali, mormora un ritornello
sull’orlo della tana, un granchio attende che lui se ne vada.

__

Il piano di lettura che personalmente (e con gusto) ho recepito di questa poesia è fortemente allegorico e, segnatamente, metapoetico. La poesia mi pare espandere a ventaglio il rammarico d’inconsistenza, leitmotiv del poema di apertura, in una garbata ironia (o autoironia, o sarcasmo) verso poeti e poesie “da battigia”, come bottiglie vuote (flaconi ammaccati); verso slanci, rêverie d’infanzia, “notazioni di sensibilità” (Sanguineti), forse inconsapevolmente salvifiche del mondo (à la Borges) ma — qui il capovolgimento ironico oppure la denunzia sarcastica — inabili a raggiungere l’oceano, cioè a carpire attenzione ed essenza del mondo umano e animale (una barca spernacchia l’ispirazione; un granchio — ut supra! — attende che il soggetto se ne vada).

Fin qui sull’ironia. Altre operazioni che si potrebbero fare a lato della nutrita prefazione sarebbero, per esempio, indagare questo curioso ossimoro dato dal riferimento titolistico a un “inizio del secolo” che però si apre con un “Tema della fine” che promana direttamente, con variazioni originali, dal mito di Sileno: la soluzione con tutta probabilità sta nella matrice Eliotiana (“In the end is my beginning”) dell’accostamento, e Castiglione ha buon gioco nel fissare come nel libro (già dall’esergo di Luzi, “di padre in figlio fino a che sia limpido”, da Nell’imminenza dei quarant’anni; plastico rovesciamento del Larkin di “Man hands on misery to man”) siano presenti aneliti al sereno, a un inizio che squarci fattivamente il cupo, mercé l’amore paterno ma anche un filantropico “tenere il punto” della propria scala valoriale, che è un invito all’impegno (p. 29: nei palmi miei è il pane integrale… e io è qui che metto il punto).

Va poi considerato che il timing di uscita del libro – di cui alcune parti erano state anticipate in riviste, per es. incrociai e trascrissi questa poesia nel 2019 – si è rivelato notevole, perché comunque vada, a prescindere dall’anno esatto del suo scoccare, ci attende un secolo nuovo, un nuovo initium saeculare nel senso di anti-escatologico – intramondano; vorrei dire carnale, dopo questa sospensione iperinternautica della nostra umanità; e bisognerà fare tesoro di tutto quanto così pazientemente registrato in un’era appena precedente, di un soffio… da cui però una faglia ci ha ormai diviso.
Su un piano più intimo e ugualmente fisico, possiamo anche far coincidere l’inizio del secolo né più né meno che con la venuta al mondo del figlio, testimoniata in versi sin dal suo concepimento.

Vengono poi in questione alcuni riferimenti al lessico musicale. Minardi mostra una sensibilità elevata nel riportare il dettaglio (degli oggetti, delle conversazioni, delle azioni) e allora, vista la alluvionalità espositiva, molto meglio pensare a un Concerto (grosso, o novecentesco; niente affatto solistico) che a una sinfonia (dominata dalle regole più rigide della forma-sonata quali esposizione, sviluppo e ripresa).
Con un impulso forse poco critico che vi propongo tale e quale, ho accostato i versi di Minardi all’ascolto degli otto Concerti per orchestra di Goffredo Petrassi — splendido ciclo solo formalmente monolitico, anzi roccia sedimentaria che nell’arco di quasi quarant’anni (1934-1972) si è progressivamente emancipato dal modello Stravinskiano verso una cifra tutta sua.

Inizialmente mi aveva destato qualche perplessità il quadruplice ricorso al termine Contrappunto, ma si tratta ovviamente di un bias collegato alla antonomasia “conquistata” presso i classicofili dalle fughe bachiane. In realtà, e prima ancora, la tecnica contrappuntistica consiste nel mettere in relazione polifonica tra loro più temi; e in queste quattro composizioni il punctus contra punctum di Minardi sta nel contrapporsi, denunziandolo, al cantus firmus (o infermo!) del luogo comune, della benpensante aridità consumistica, plutocentrica, intollerante verso l’altro — fedelmente riportate con discorso diretto (p. 35: “ma sai una cosa è il sognare, un’altra ciò che vende”) o indiretto (p.26: la signora ha ragione… porteranno figli… disturbo della quiete, della fretta; p. 47: Colpa sua se è oppresso, l’oppresso, sembrano dire; infine, a p. 60, l’azionista ligio e serio / che s’istilla negli sforzi altrui, nel loro creare, / mentre afferma che il soffio dei tuoi avi è trapassato). Proprio nell’ultimo contrappunto, in cui si rivolge direttamente al figlio, il poeta palesa l’auspicio di instillare invece nell’erede i valori propri (e della consorte, dagli abbracci imbevuti di rivolta), i “Motivi per una nuova vita” (motivazioni e “trame”, fili d’Arianna), in luogo di quelli di una società malata…“Fino a che sia limpido”, appunto.

Ma mi fermo qui e corono e mitrio il prefatore del compito di guidare il lettore lungo i tanti altri elementi complessi costitutivi del Concerto: la pluralità di misure, dal poema alla breve accensione prosastica; la pluralità di registri lessicali, compreso l’anatomico e il secretorio; la “militanza”, anche qui, coraggiosa — sia pur tra momenti di depressione e angoscia — su temi etici forti come il mancato rispetto della vita animale, visto come scacco perpetuo alla civiltà, direttamente correlato ai suoi meccanismi e gerarchie interne.

Concerto per l’inizio del secolo è, come da un suo verso, una musica robusta — o, se si preferiscono le parole di Castiglione, un libro “tematicamente sostanzioso” che impone letture e riletture. Ripagando il cimento con la graduale scoperta — lungo un “pedale” organistico lunghissimo, da toccata, che accompagna del suo colore tutto il libro — di fraseggi anche minimi, venature che sanno parlare molto.

***

LA STAGIONE LEGITTIMA

I pesci sono sparati dalla pancia di un velivolo
piovono a valanga sul lago lo ingrassano
il pescatore sederà col giubbotto smanicato
attenderà che la trota sbavi per il lombrico
il pomeriggio riporterà tutto dai cognati
mostrerà il video dei guizzi dentro il secchio
loderà la quantità di pace da non immaginare.

*

ANTICIPAZIONE N.3

Un uomo con continui tic dell’occhio e del labbro è come se ammiccasse. Io non mi trattengo dal ridere. Siamo in presenza di ragazze praticamente nude, in fila. L’uomo parla di commercio di parti meccaniche e formula discorsi confusi. Io comprendo bene al punto da esserne terrorizzato. Non dal contenuto ma dal fatto che non riesco a contrastarlo, a volergli del male.

*

TESTIMONIANZA DEL RETTILINEO

prendo l’autobus con mio figlio e i derelitti
due anziani con poco cervello e un bel sorriso
la signora, quantomeno, lui ha i capelli incollati
e l’odore acre viene dal loro look, dall’intimo loro
prendo l’autobus con mio figlio e in fondo
un giovane in tuta parla al cellulare a voce alta
riporta l’aneddoto dell’ufficiale arrogante
ripete la mia ragazza la mia ragazza la mia ragazza
credo provi un certo dovere a essere scurrile
prendo l’autobus con i graffi, le rughe, il rosso
delle facce di passeggeri innocui e derelitti
prendo l’autobus con il cane nella gabbia da trasporto
cane che dalla retina annusa il passeggino di mio figlio
sarà il formaggio a cubetti di cui è pregno il cestino
o l’odore che non alita ma tiene insieme l’universo
l’odore che tiene in bilico il pianeta Terra
mia moglie dice a nostro figlio che manca poco

*

MOTIVO PER UNA NUOVA VITA N.2

Non avere timore di chi zoppica, di una maglia logora,
chi riga dritto acquista il diritto alle camicie di raso. Segui
fra tutti il più claudicante, quello col viso meno preciso…
Un pomeriggio squagliante sotto un gelso, un matto professò
come curvava sotto il peso del crocefisso, tutto sbilenco;
capii che gli storti mettono a repentaglio i vari sonni,
lo appresi, in soldoni, ad un’età tenera per definizione.

Roberto MINARDI, Concerto per l’inizio del secolo, prefazione di Davide Castiglione, Osimo: Arcipelago Itaca, 2020, pp. 87, EAN 9788899429805, ebook n/d.