Stefan Zweig, Breve viaggio in Brasile

Il Pan di Zucchero in una foto aerea del 1934 di Walter Mittelholzer (Walter Mittelholzer, Public domain, via Wikimedia Commons)


Originariamente pubblicato su Perìgeion

Il primo giorno del 2019 Jair Messias Bolsonaro ha giurato come Presidente della Repubblica Federale del Brasile. È da poco al potere una destra forse estrema (ce lo dirà la concreta azione normativa), sicuramente populista e Trumpista già nel lessico e nelle priorità del discorso di insediamento: «liberarsi dal socialismo» e da altre presunte ideologie nefaste che minacciano la famiglia; «garantire proprietà e legittima difesa»; il «Brasile in cima a tutto e Dio in cima a tutto!» di chiusura dell’arringa, poi, si candida a slogan virale con cui enfatizzare la spinta per uno stato non esattamente laico. Un altro passaggio ha fatto riferimento alle «abbondanti risorse minerarie e terre fertili benedette da Dio», il cui sfruttamento non sottoporre più a vincoli burocratici; con ciò destando diffuse preoccupazioni di matrice ambientalista, cui sembra siano occorse solo ventiquattr’ore dallo speech per essere asseverate come tutt’altro che infondate.

Per una coincidenza curiosa e – almeno in chi scrive – foriera di rimuginazioni, dicembre 2018 ci aveva appena regalato una prelibatezza: la prima traduzione italiana del Breve viaggio in Brasile di Stefan Zweig, per i tipi di Passigli Editori e con la eccellente cura di Vittoria Schweizer e Simona Manetti Ignesti.
Questo resoconto di viaggio dell’agosto 1936 appartiene già al periodo dell’esilio londinese dello scrittore (1934-1940) dall’Austria nazista che ne aveva bruciato i libri (1933) e precede di un quinquennio la residenza carioca: Zweig e la seconda moglie Lotte si trasferiranno a Petrópolis, provincia di Rio, nel 1941, per darsi ivi la morte nel febbraio del 1942. Impossibile, per chi si accosta alle pagine di questo agile volume, non meditarne anche solo en passant, a lato della felicità espressiva che ha fatto di Zweig un Autore così prolifico e apprezzato, le considerazioni e le intuizioni alla luce della storia più recente.
Soprattutto nella prima metà del libro, dedicata alle considerazioni generali sul paese e alla visita a San Paolo, Zweig mostra, pur tenendo per primo presente che una conoscenza adeguata del paese ne richiederebbe una frequentazione diuturna, di cogliere le potenzialità di crescita del Brasile e, attraverso di esso, il passaggio della leadership economica dalla vetusta e cadente Europa, che «continua ad auto-annientarsi» alle economie emergenti; passaggio oggi inconfutabile anche dalla stessa «superbia della vecchia Europa» (pp. 8-9):

ancora non si conosce che un decimo delle ricchezze del suo sottosuolo, e la maggior parte della sua potenziale forza resta inesplorata; qui la terra non è ancora depauperata e non richiede stimoli di concimi e prodotti chimici. Non cambia se si coltiva caffè, cacao, grano, cotone, arance o banane, ovunque la sua superficie è fertile e nelle profondità sonnecchiano minerali e pietre preziose; non c’è esperto che possa prevedere cosa il futuro saprà ancora sfruttare di questo impero, al quale oggi non manca che una sola materia prima per potersi sviluppare in conformità alle sue grandi potenzialità naturali: le persone, più persone – questa materia prima che noi possediamo a profusione, una profusione che ci schiaccia e ci soffoca. Ci vorrebbero cento, duecento, trecento milioni di persone per far sì che questo paese possa raggiungere una giusta proporzione in rapporto alla propria ricchezza (…)

Oltre alla suggestione del vaticinio demografico (la popolazione brasiliana si aggira oggi sui 209 milioni, dato 2017 Banca Mondiale), noterete lo stesso aggancio di sviluppo minerario-rurale col discorso di Bolsonaro; ma la cornice ideologica e garantista del pensiero è, vivaddio, profondamente differente. E Zweig lo prova già poche pagine dopo, nel resoconto della visita alle carceri di San Paolo (pp. 24-25); occasione per una riflessione sul «problema dell’istituto di pena… dal punto di vista morale» che culmina in una concezione penitenziaria pienamente conforme a quegli stessi valori di umanità e rieducazione del condannato che verranno costituzionalizzati di lì a una dozzina d’anni all’articolo 27/3 della carta fondamentale italiana (del resto San Paolo è definita «una delle più grandi città italiane al mondo»).
Più ancora, Zweig dimostra la propria sensibilità egualitaria in un passaggio partecipato e anticipatore di un analogo spunto in quello che sarà il suo secondo, più famoso libro sul Brasile, ossia Brasile, terra del futuro*. Lo riporto quasi per intero, in tutto il suo anelito liberale e libertario (quasi paradisiaco, anche alla luce dei trend e delle formae mentis attuali); ciò anche se una nota delle curatrici ha il merito e il rigore di evidenziare una certa dose di entusiasmo e ingenuità (sentimenti comuni anche al Viaggio in Russia del 1928, sempre curato da Schweizer**), precisando che già nel 1936 non mancavano neppure in Brasile restrizioni burocratiche alla immigrazione (le cartas de chamada), ostacoli su base etnica all’ascensore sociale, sentimenti xenofobi; tutto peraltro destinato ad aumentare drammaticamente negli anni immediatamente seguenti al viaggio di Zweig (pp. 12-14):

E la seconda sorprendente anomalia in rapporto all’Europa del 1936: il Brasile non ha ancora scoperto la questione razziale, anzi, ha da tempo risolto questo problema nella maniera più semplice e felice, ignorando totalmente tra i suoi cittadini, da decenni, qualsiasi differenza tra razza, colore della pelle, nazione e religione. In questo gigantesco crogiolo si mescolano da tempi immemorabili bianchi, indios, neri, portoghesi, tedeschi, italiani, slavi, giapponesi, cristiani ed ebrei, buddisti e pagani, non viene fatta alcuna differenza e non c’è il benché minimo conflitto. (…) con una totale naturalezza, questa mescolanza di razza e colore prosegue già da decenni, da secoli.
E le conseguenze, le terribili conseguenze? si domanda forse spaventato qualche europeo. Sono eccellenti, le conseguenze. Raramente si può vedere in qualsiasi parte del mondo donne più belle o bambini più belli di questi meticci, dalla corporatura gracile, dai modi dolci; con gioia si nota sui volti bruni di alcuni studenti un’intelligenza abbinata a una silenziosa umiltà e gentilezza; no, la mescolanza non ‘corrompe’, al contrario, ravviva e modella. (…) E quante differenze, quante vite individuali in questa mescolanza! È meraviglioso vedere per strada la folla, ognuno diverso, ognuno con la propria personalità, e al tempo stesso osservare la tenerezza dei rapporti, l’assenza di ogni rabbia e tensione, che oggi invece domina in quasi tutta l’Europa tra persone dello stesso paese. (…) Poiché nessuno resta indietro o si sente confinato a cittadino di seconda classe, ognuno si sente veramente cittadino del Brasile, e visibilmente si assiste qui al formarsi di una spiccata coscienza nazionale senza che ci sia, fortunatamente, nessun nazionalismo imperialistico. Gli immigrati di seconda generazione, da qualunque paese provengano, e persino i più riluttanti, i giapponesi, si sentono completamente brasileiros (…)

La seconda metà del libro è invece dedicata a quella che può dirsi una vera e propria teofania di Rio de Janeiro – sin dall’incanto del suo apparire dal mare: una «visione magica», quasi una Venere nascente dinanzi a chi le si approccia in battello. Le sue meraviglie vengono magnificate con tutta la consueta verve narrativa di Zweig; verve che in certi passaggi sfocia in prosa poetica, soprattutto nel climax di una notte passata sul Pão de Açúcar («è come se una bocca invisibile avesse soffiato sopra lo specchio del cielo»…). L’innamoramento di Zweig per la regione di Rio, che come detto lo porterà a eleggere la sua dimora ultima a meno di cinquanta chilometri dal Corcovado, è tangibile anche negli spunti sociologici che pure qui non mancano, sebbene in misura minore e forse con lo stesso ingenuo entusiasmo della prima parte del libro; in particolare verso quella carioca «Arte dei contrasti» che tiene in armonia, tra l’altro, una ricchezza che «non è provocatoria» e favelas che «non appaiono né tragiche né opprimenti. Perché sono libere, con il più bello sguardo sul mondo».

Conclude il libro il discorso di ringraziamento per l’omaggio ricevuto in loco dalla Academia do Brasil; qui, oltre a una assai introspettiva considerazione sulla perenne insoddisfazione di ogni autore, l’auspicio, profetico, del ritorno.

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Stefan ZWEIG, Breve viaggio in Brasile, cur. V. Schweizer e S. Manetti Ignesti, Bagno a Ripoli: Passigli Editori, 2018, pp. 71

NOTE:
* Id.Brasile, terra del futuro, trad. V. Benedetti, Roma: Elliot, 2013, pp. 243. Una traduzione coeva in lingua inglese dell’opera è liberamente disponibile in rete. Il passaggio citato, che fa parte della Introduzione, si può leggere all’interno di questo editoriale.
** Id.Viaggio in Russia, cur. V. Schweizer, Bagno a Ripoli: Passigli Editori, 2016, pp. 98.