Cristina Annino, Il pianista sul Colosseo

Vasilij Kandinskij, Impressione III (Concerto), 1911, Städtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco (Vasilij Vasil’evič Kandinskij, Public domain, attraverso Wikimedia Commons)

Cristina ANNINO 
IL PIANISTA SUL COLOSSEO

per Roberto R. Corsi 

Sul pianoforte allora metto le
mani; un blù che
provoca
tagli, penso fisicamente
le falangi in su, nel
flusso non sapendo che
accada. Sarebbe
niente per me, signori,
suonare un’ouverture, anche
meno: dare il tu brillante ai
Vescovi di strada. Sarebbe
anche poco questo
velo d’ossido della
camicia; sento ogni
goccia cadere sull’amaca
del tempo, acciuga nella
rete, testo biblico. Poi
l’assolo a caso di
finestre sbattere. Un due sonoro
senza mani è come
asciugarsi i tagli col cencio,
meglio, un poema!; ma questa
città solleva per gioco
anche i cani. Di notte
apre
col viso i suoi colli, capovolge
strade su strade, ingoiando
ponti e l’ostia delle
persiane. Poi
ride del silenzio di noi
vegetali; che
il ferro ci pompa in camicia
le ruote ovali, ci muove
all’aperto, noi fermi. Privi di
pedali, è certo un evento il
flusso senza
tonfo sul piano. Eraclito
dice, dal
cinquecento sfilando
adagio la spina d’onda
3 della Radio, berremo
due volte la stessa
corrente
. Forse. Che
gloriette la storia!

(Revisione febbraio 2021)

___

Ebbene, con preavviso congruo da parte del valente Pietro Roversi, ma ancora incongruo per le coronarie data la grande emozione che mi ha attraversato in queste ore, Cristina Annino, una delle voci più talentuose della poesia italiana contemporanea, mi ha dedicato una poesia! Si potrebbe esaurire qui il post, chiudere tutto e andare a festeggiare  con una sclacsonata solitaria o uno streaking in centro, in effetti. E ci tengo, nel ringraziarla infinitamente, a sottolineare come questa dedica, la mia prima (pur senza dimenticare affatto le pregevoli “recensioni in versi” ai miei libri da parte delle ottime Daria De Pellegrini e Maria Grazia Cabras), sia una gratificazione portentosa, che iscrive di diritto il 30 agosto di quest’anno altrimenti innominabile nel libro (anzi, nella paginetta) dei miei giorni indelebili.

Resta il piacere sottile e periglioso di tentare un’interpretazione di questi versi, sempre freschi e zigzaganti, come da cifra dell’A.
Addentrandomi nella lettura, però, l’elemento prettamente musicale (il resoconto di un concerto, dal vivo o per radio) mi sembra cedere parte della sua predominanza al dialogo figurale del musicista/poeta (il poema, scritto o musicale) con la Città eterna, fatta di meraviglie, di indifferenze (le finestre che sbattono), della sua immutabilità (simboleggiata dal vescovile) che si specchia, irridente, nella nostra limitatezza di esseri “non a pedali” (e quindi s’intersecano le immagini di veicolo e pianoforte). Due immutabilità che, sullo spunto del flusso sonoro, si risolvono nella reminiscenza del noto frammento fluviale di Eraclito, che giunge come deus ex machina, però rivisitato e messo in discussione (qui ci può essere l’idea che la “stessa corrente” sia il brano musicale interpretato dal pianista – “due volte”: quanto è interprete e quanto ricreatore? – la corrente della radio di chi lo ascolta); allo stesso modo in cui una gloriette non è che una illusione bidimensionale, ad pompam, impossibile, di antica grandezza.

Queste le mie discutibilissime sensazioni. Di certo Cristina, che nel mio invito alla lettura di due mesi fa paragonavo a un running back imprendibile al tackle dell’interprete – con finte, rollout, cambi di direzione e allunghi – mi somiglia anche al Kandinskij dell’impressione concertistica, abile qui sotto nel far esplodere la figura del pianoforte (quella volta, dedito all’op. 11 di Schoenberg – e anche sulla possibile affinità con Cristina di questi tre capolavori ci sarebbe da meditare) e del teatro in rivoli cromatici.

Grazie, col cuore gonfio sino all’ipertrofia.


AGGIORNAMENTO: dopo la scomparsa della cara Cristina, la poesia è ora ospitata a p. 53 del volume postumo Avatar, Avagliano, 2022