Anne Stevenson, Tema con variazioni

Aubrey BEARDSLEY, illustrazione dall’edizione Dent (1894) di Le Morte d’Arthur di Th. Malory, come ristampata in The Early Works of Aubrey Beardsley (Aubrey Beardsley, Public domain, attraverso Wikimedia Commons)

Sento di avere un debito grave verso Anne Stevenson e la sua curatrice e traduttrice Carla Buranello. Nel 2018, infatti, non ho dato (per mia smemoratezza) l’attenzione che era dovuta alla prima e finora unica traduzione in italiano di una scelta di poesie di Stevenson, Le vie delle parole. Mentre oziavo, la poeta purtroppo ci ha lasciati, a marzo 2020. Io ci sono tornato solo adesso, sul libro, ma non credo che Anne, dovunque sia, me ne voglia più di tanto: solo nominando i riconoscimenti che ha conseguito in vita – vedi il Lannan Lifetime Award (che è stato dato anche ad Adrienne Rich e Robert Creeley, per intenderci) o il Neglected Masters Award – si intuisce una disposizione poetica rivolta al lungo periodo, alla semina più che al raccolto, e una personalità attenta a tutto meno che ai riflettori, all’engagement che purtroppo sembra ormai l’unica graduatoria del nostro ambiente. Con ciò, idealmente, Anne c’indirizza verso ciò che conta davvero, cioè leggere le sue poesie in traduzione e, per chi vuole, ampliare la sua conoscenza con le poesie non ancora tradotte, ampiamente reperibili. Avremo così accesso a una voce perentoria, in possesso di un bagaglio impressionante che si esercita su un arcobaleno di tematiche.
Ne Le vie delle parole, le poesie scelte dalla Curatrice, di concerto con l’A., abbracciano molti dei temi alla poeta cari. Musica, sopra ogni cosa! Verrebbe da commentare-citare a caldo. Le vicende biografiche stesse, del resto, si incardinano solidamente sulle arti liberali, principalmente proprio la musica, ove Stevenson condivide con Caproni il dato importante dell’accantonamento, alla prima maturità, delle prospettive di una carriera musicale professionale (nel caso di Giorgio, il violino; nel caso di Anne, pianoforte e violoncello). Ma anche la filosofia, la pittura (non comprese nella antologia, cinque ecfrasi da Francis Bacon), la riscrittura d’invenzione del mito; ancora, l’amore per la natura declinato, per es., nella varietà di specie vegetali o nel dar voce alle specie animali in pericolo. Dall’altra parte la lunga vita della poeta, contrassegnata da eventi epocali come l’esordio precoce della ipoacusia, quattro matrimoni, molti amici scomparsi innanzi a lei, consente anche un’ampia memoria personalemai melodrammatica, spinta troppo nel profondo, esasperata nei toni (e ci sarebbe stato spazio, pensando solo a quanto un deficit uditivo possa essere devastante per una musicista); piuttosto, tesaurizzata in una massima sapienziale. Su tutto sovrintende una grande intelligenza, che scruta intorno a sé e deduce con incedere sicuro, in più punti simile – mi sembra – a quello di Szymborska.
Carla Buranello prende sulle sue spalle, disimpegnandosi bene, un compito difficile, quello di tradurre una A. rigorosamente attenta alla musicalità, alla forma e all’intertestuale-interculturale.
Forme chiuse, blank verse (pentametro giambico), ballate, sonetti sono i compagni di una vita. Anche rime e assonanze sono presenti quasi ovunque; se si aggiungono i riferimenti colti, il compito è proibitivo e chiama continuamente il traduttore al gioco della torre. Ma il verso di Stevenson sa anche sovra o sottdimensionarsi, svincolarsi; e l’agone poetico annovera quartine, brevi umoresche (come quelle di Adamo ed Eva) o poesie lunghissime, di varie pagine. Quale il denominatore comune? C’è un ausilio per l’interprete? Ce lo dice la stessa poeta in una poesia, How Poems Arrive, giustamente collocata da Buranello in testa alle traduzioni: se non una forma codificata, è imprescindibile almeno una spiccata musicalità (per lo più, ovviamente in originale, giambica: e infatti è frequente accostare il giambo al [heart] «pulse»); «Otherwise, write prose». Propongo qui la versione tradotta:

Anne Stevenson, trad. Carla Buranello

(Anche la ricerca di un’ars poetica è una “disciplina” volentieri praticata dalla poeta, come potrete riscontrare in altre poesie scelte e tradotte nel volume).
Vi invito dunque alla lettura del libro.


Ho affiancato la lettura del lavoro di Buranello ad alcune raccolte in inglese, dove, pur coi miei limiti, ho potuto constatare ancora di più l’importanza della musica classica nella poesia di Stevenson: come nella splendida Arioso Dolente, che troverete tradotta da Buranello, la poesia è intrecciata a doppio filo con la vita in altre prove di adamantina fattura, come Kosovo Surprised by Mozart (dalla raccolta Granny Scarecrow, del 2000), oppure It’s Astonishing (da Astonishment, 2012). Protagonista di quest’ultima è il passato da violoncellista, visto a ritroso attraverso l’invecchiamento del proprio corpo, del braccio che teneva l’arco.
E proprio “corpo” e “violoncello” si sublimano in una poesia che ho trovato in una raccolta più risalente, Travelling Behind a Glass (1974). Questa poesia, Theme with Variations, mi ha colpito molto sia per la sua splendida ingegneria, sia appunto per il viluppo tra vita e musica, infine per un elemento tematico che forse manca nel volume italiano e che non trovo tanto facilmente neppure aliunde in Stevenson: una l’amore fisico, dipinto mediante la sua assenza che aleggia su tutto. Vi propongo qui sotto la mia traduzione, l’originale può essere recuperato da pp. 41-42 degli “Oxford” Collected Poems, ossia l’opera poetica fino al 1995, consultabile su Archive.

TEMA CON VARIAZIONI

Distrazioni, considerazioni.
Ce n’è così tante.
C’è il denaro contante. 
Ci sono i beni. Ci sono professioni 
e invenzioni.
E ci sono gli uomini soli
e, sempre, quelle 
morbide cosce cui pensano e ripensano  
in vuote stanze.
Perché c’è un unico amore – 
che non è mai abbastanza. 

Essere evasivi, raffinati
ha la sua utilità.
C’è alcol a volontà.
C’è l’essersi agghindati. 
C’è l’astuzia nella carne 
del seno 
spinto in su, fin sotto la gola. 
C’è la visione fulminea dell’inguine, 
l’aneddoto che a tavola piace narrare,
ma c’è un unico amore 
che è sempre reale.

Ovazioni. Oh, privazioni! 
Tale è il seme che ha trovato un varco
in ricchi corni, biondi violini,
timidi quartetti d’archi
uscendo dal sesso infuriato di Beethoven,
e di Mozart,
e di Schubert, 
che le donne piegate sui loro violoncelli, 
ginocchia di velluto, gambe aperte,
sanno bene che c’è un unico amore 
e che non è mai l’Arte.

Anne Stevenson, trad. RRC

NOTA. La poesia è strutturata in tre stanze – variazioni su un tema che appare nelle tre code. Le prime due stanze sono aperte da una quartina incrociata o alternata – ABBA(A), ACCA, ADAD, in cui A rima sempre con Variations del titolo “classicista”: sono riuscito a preservare sempre la gabbia, e la rima col titolo nell’incipit di prima e terza stanza (in pratica ho fatto ABBA, CDDC, AEAE). Anche le code sono rimate.
La mia interpretazione della poesia, dicevo, è quella di un canto all’amore fisico, fotografato nella sua mancanza, vorrei dire nelle sue succedanee. Amore frustrato da un mondo tutto intento alla propria industriosità ricreativa, cognitiva e soprattutto produttiva (ma che genera solitudine e pensiero ossessivo); dalla vuotezza della vita mondana con la sua blanda seduzione; persino dalla creazione artistica, vista come deprivazione e deviazione delle proprie energie erotiche, sublimata dalla immagine allegorica dell’amplesso (abbraccio/~) delle violoncelliste al proprio strumento. Naturalmente le qualità di Anne, musicista e segnatamente violoncellista, possono insinuare nell’immagine di coda anche una connotazione autobiografica, di riflessione sulla propria vita e arte.

Grazie, Anne. Grazie, Carla.