Se vuoi andare lontano fermati in tempo: l’opera omnia di Vito Riviello

Che il mondo poetico non perdoni l’ironia né la comicità lo hanno detto vari saggisti e autori (Joan Fuster e Michel Houellebecq sono quelli che mi vengono in mente per primi).
In realtà solo gli apneisti dell’acquario poetico, nella loro realtà recintata, riescono a essere ancora convinti che il mondo “di fuori” chieda alla poesia qualcosa di diverso e di più del divertere, che un noto aforisma (Wittgenstein?) contrappone al docere, riservato ormai in via esclusiva agli uomini di scienza. Da parte sua, Thomas Love Peacock parlava di età della tecnica che ha sostituito quella della poesia, e a livello epistemologico di massa c’è poco da obiettare (nonostante il bel sogno contrario della lirica L’infinito che leggerete in calce).
In pratica, lo Zauberberg della poesia pensa ancora che i turisti in visita gli chiedano la parola che squadri, nonostante il monito montaliano. E il lasciatemi divertire palazzeschiano viene relegato a rara avis al gabbio della antologia di quinta superiore.
Ma tutto ciò, a partire dalla poesia stessa, è pura illusione e anzi solo il divertimento, si arricci o meno il naso, reca al poeta quell’engagement cui in fondo, volendo sempre e ostinatamente pubblicare, aspira.

Meglio ancora sarebbe prescindere da tutto questo prologo, essere poeticamente se stessi e perseguirlo accanitamente senza troppe filosofie. In questo senso Vito Riviello, che amava introdursi perentoriamente come «poeta comico» e fondamentalmente mi appare come una persona a più strati, un mattatore disilluso, forse appartato per vocazione e tremendamente ansioso come lo scrivente (cfr. le liriche Anonimo e Applausi),antivedeva non di poco. Ma tra gli addetti ai lavori la sua declaratoria di comicità ha suscitato una doppia inquietudine: da un lato la sufficienza e la reiezione da parte dell’ambiente austero del momento; e dall’altro lato il tormento di chi – anche egli in fondo legato all’idea di un’austerità poetica, quindi refrattario al mood rivelliano – lo vede come più alto in volo rispetto al “battutismo” (quid mali?) cui in qualche modo si è anche autorelegato, sia mediante la sua autodefinizione che mediante la mancata autopromozione. Esse est percipi, e uno sguardo attento alla letteratura di oggi mostra come il facimm’ ammuina sia tanto, quasi tutto.
Non vedo niente di scandaloso, né credo ce lo vedesse lui, nel fatto che quando si pensa a Riviello vengano in mente soprattutto i Kuku, addirittura enciclopedizzati da Aldo Gabrielli come forma poetica breve e comica, nominati per assonanza con gli haiku.
Vero però, e confermato dalle parole dell’autore in una intervista, che la vena rivelliana è fondamentalmente malinconica, come quella di chiunque riesca acutamente a cogliere l’algoritmo delle cose e la sottile feroce ironia del tempo. Della gloria biobibliografica, tua come di tutti, che va in deperimento congiunturale. Oppure – somma ironia a cui avrebbe sorriso – del tuo detrattore che diventa annotatore della posterità…
La condensazione massima è riuscita tempo fa nel titolo di una silloge di Leopoldo Attolico, un poeta che, mi accorgo ancora di più a posteriori rispetto alla mia recensione, ha raccolto pienamente, in stile e sostanza, la disposizione rivelliana: La realtà sofferta del comico.
Ed è una condensazione che, anche qui, impone al lettore e all’interprete la necessità di valutare il poeta nel gioco dei tre versi come nella misura del breve ciclo, senza contrapposizioni o preferenze.

In questo senso costituisce un vero atto di giustizia che i mille rivoli in cui le poesie di Vito Riviello si erano disperse, quasi un fiume Timavo reso carsico per chilometri e chilometri di oblio, abbiano raggiunto il mare dell’opera omnia, grazie al lavoro di Cecilia Bello Minciacchi e ai tipi (elettronici) de La Sapienza

Il file PDF si scarica gratuitamente in fondo a questa pagina-scheda. Qui il link diretto

Poesie, apparato, interviste e materiale fotografico: abbiamo tutto.
Forse l’unica cosa che ci manca è una versione per lettore di ebook (epub e mobipocket), che speriamo arrivi presto.

Va detto che un volume di milleduecento e rotte pagine (a4!), almeno tre quarti delle quali occupate da poesie, è ostico per la innata predisposizione del lettore a esaurire il “libro di poesie” nel volger del giorno. Il calo di concentrazione è dietro l’angolo e, con un gioco che sarebbe piaciuto a VR, opera omnia diventa spesso opera somnia. Un’altra cosa che si constata è la irrimediabile perdita di carica virale della satira strettamente riferita a personaggi ed episodi dell’epoca; non può che essere così, a maggior ragione aumentando il novero di lettori che certe stagioni non le hanno vissute.
Occorre dunque temperarsi e leggere cum grano salis.
Si imparano molte cose, per esempio – nel caso del poeta in questione – la lenta e progressiva messa a fuoco della propria cifra poetica, che a mio avviso inizia a sostanziarsi a partire da Sindrome dei ritratti austeri (1980 – 47 anni di età e 25 dalla prima raccolta: meditate) e giunge a compimento con la raccolta prefata da Giovanni Raboni, Assurdo e familiare (1986). A partire dalla quale si dipana un corpus complesso, quantomeno dicotomico tra tenerezza e comicità, a volte avviluppate, altre volte distinte.
Proprio in considerazione di questa complessità sono tentato di vedere l’opera della vita in Plurime scissioni (2001), che ne è un tentativo di sistemazione: un libro di tre colori e una contenenza nelle cui sezioni Riviello adotta il registro del disincanto senile (quella eponima), poi si fa delicatissimo cantore del femminino (Demoiselles d’Avignon) , infine chiude col breve-comico-aforistico in Neokuku e Haiku.

Viaggiare lungo tutta la parabola creativa di Riviello è un’esperienza caleidoscopica ma costantemente giocata nella maestria della parola e dell’accostamento.
Va da sé che l’approccio migliore è quello di leggere e crearsi il proprio sottoinsieme, cosa che faccio qui di séguito, in una vendemmia senza pretese autoritative.
Il consiglio è di far tesoro di questo volume e dello spirito che vi si respira. Vito Riviello può insegnare molto in termini di poesia e vita; dal mio punto di vista, o forse per la mia – consimile – inclinazione, credo avesse ragione da vendere… sia nella sua concezione poetica ed esistenziale, sia nella ampiezza di uno strumentario capace di plurimi registri e davvero varie altitudini, come credo di poter dimostrare con questa scelta in calce. 

***

SCELTA DI POESIE
[per la licenza di riproduzione vedi a fondo pagina]

da Sindrome dei ritratti austeri (1980)

PROMENADE

Ragazza di provincia che cammini
insieme agli altri
ma cammini da sola con uno stile
che ne ricorda tanti.
Nel modo in cui camminava Picasso
e forse Byron con le mani in tasca
o anche Oscar Wilde che procedeva di profilo
oppure Rimbaud quando sfiorava il suolo
nella promenade di Charleville.
E sei solo una ragazza carina,
non sei poeta né artista,
né sei mistica seguace di Kierkegaard
non leggi neppure il facile Fromm.
Allora i passi da soli si trasmettono
i versi sono dei passeri
che lasciano i crepuscoli dei libri.

***

da Assurdo e familiare (1986)

OH MAGGIO! 

Omaggio al celebre scomparso
omaggio al peintre illustre
omaggi si susseguono
oh maggio!
A via d’omaggi indiscriminati
senza che il contadino sappia
quant’è buono
l’omaggio con le pere,
vien fuori un altro uomo
che s’appropria d’omaggi,
morto anche lui,
del quale cade il centodiciassettesimo
anno di nascita. 

*

PASSA CHE TI PASSA 

Quello che passa in qualsiasi modo passi
è il fulgore di noi.
Solo il tetro resta ristagna nei recessi
fa ricami di giorni tristi.
Sul fiume passa la luce il cadavere
della luce che ci circonfuse
alla giostra degli specchi.
Passa l’amore in ostensorio
l’amico savio in collina
il padre fra la neve dei suoi rimproveri
la madre di primavera.
Passiamo noi col rimpianto
le stelle staccate degli anni.
Giuriamo sempre: «No pasaràn». 



ANONIMO 

Sempre più sconosciuto
tra i cieli e le nascite
nei posti di ristoro
ai valichi, negli anfratti
vado sognando d’essere
un rispettabile ignoto
passabile per simpatia
nei luoghi dove il caso
più di Satana raggira,
odorando d’incertezza
e onesta ignoranza,
certo di non incontrare
altri monumenti per via
se non quelli che si muovono
lenti nella stanza. 



INVITO TURISTICO 

Vacanzar non solo a zanziBAr
con chi ti piace e par
e dispendiar sghei ed osei,
vieni in giro per l’Ità
con la di lei di là,
a Venezia a vacanzar col Ciò,
a ciacolar un po’, a Milan
col nebbiun di ghisa,
con la Brisa a Bologna,
tra le madonne bone a Firenze,
vestite di stracci,
vacanzar classico tra li mortacci
a Roma, poi tra scugnizzi e scoglioni
a Napoli e Positano come nò,
infine all’isola di Mizzica
a riveder la bedda matri
che per amor ti pizzica.

*** 

da Apparizioni (1989) 

MAPPA 

Più a sud del sud c’è sud
sud e sud, tanto sud che
ancora a sud non c’è che sud
a perdita d’occhio sud
all’infinito sud,
solo alla fine dei sud,
si fa solo per dire,
c’è l’ultimo sud
il sud più sud che mai
il sud-sud, il suddissimo,
poi c’è il Sud-Africa. 

*** 

da Kukulatrìa (1991) 

XII 

Fino all’ultimo Ulisse 
si nascose ai Proci, 
vulpis in fundo. 



XVIII 

Tutto il tempo che ho perso 
me lo ritrovo in versi. 



XXXIII 

Un campo di girasoli 
a Cortona in Arezzo 
un campo di paraculi 
a Cortina d’Ampezzo. 



XXXVII 

Alloò…? 
Con chi parle? 
Con chi con con 
Con con con chi 
Con chi? 
Vous etes le Con? 
Con qui parle… 
Ah le Con Qui Parle… 

*** 

da Monumentanee (1992) 

L’ASSASSINO 

Testimonierò che il mio assassino
era di aspetto gentile, garbato
anche nei modi di colpire, democratico
nell’infierire a caso, senza privilegiare
punti del corpo particolari,
non ci potrei giurare
ma massacrandomi col machete
recitava Foscolo dei Sepolcri
e sul punto di recidermi la carotide
mostrò un occhio blando
d’antiche tenerezze frustrate
sì da mettermi in pace
ed accettar la sorte di una follia
discesa per vie di povertà peregrine
c’hanno tenuto fino all’ultimo
intatta la bontà dell’omo. 



TEOREMA 

Ammesso che vi sia il nulla
non arrenderti alle sue immagini
decoralo con le tue
firma il saggio sulle nuvole.
Il problema è passare dal celeste
al violetto, anche il cielo
non si fa velo di questi mutamenti
che formano il concetto.
Solo alla morte non c’è rimedio
tu muori ogni qualvolta
vuoi riuscire a vivere,
sei sempre in credito con la morte,
perciò prendi il resto
e fai del nulla un nullificio privato
la tua anima, come da tradizione, invisibile.
Allora è più morte quello che si vede
d’una fede nel nulla che nullifica
le visibilità medie della morte. 

*** 

da Plurime scissioni (2001) 

LA PAROLA DI PIETRA 

Aspro il monte, il contrafforte,
le allegorie sono loquaci
una tale asprezza non s’è mai vista prima,
anche le tue parole d’uso
sono violente, hanno perso
lo smalto chimerico
che le poteva aleggiare,
conoscono l’abuso.
Per noi che finiremo in silenzio
è incredibile il rumore
che si alza senza tempeste.
La vita è feroce, la poesia blanda. 



L’ONESTO RISPARMIO 

Cosa potrei conservare
di cose note, smarrite sulla terra
o diffuse in tanti ambienti, angoli remoti,
cose divenute concrete
sol per convenzione, per fatal decisione
d’uomini impoltroniti, sprofondati
negli abissi delle poltrone. Quell’esile foglia
preda della voglia del vento, girellona
nella stupida danza della circostanza,
è oro colato, la foglia determina il valore
che il vento raccoglie.
Tanto vale per noi, per qualcuno di noi
possedere notevoli quantità di nulla,
neppure una foglia che segna un destino
sulla strada in salita,
avere l’onesto risparmio della vita 



LACUNE 

Il miglior fabbro è morto,
la sua barba s’unisce finalmente
a quella di Walt Whitman.
È morto il patriarca che nega l’usura
e sa che il profitto vorace
colpisce i deboli ovunque.
Il poeta dei frammenti minuziosi
dei reperti rari, dell’epigrafi,
delle iscrizioni solenni, dei ruderi,
che non lasciava le parole
in barba all’idillio, (che non fosse cinese)
è morto
Eliot piange.
Perché non siamo andati
al funerale di Ezra Pound? 



FANTASMA 

Ora mi vedrai sempre e solo
nei versi che scriverai
che gli altri scriveranno,
avrò il profumo del computer
e la sua suscettibilità dinamica. 



FRANTUMI 

Sei così sola stasera
che l’azzurro delinea
con contorni infantili
la tua assenza.
Così sola
da non avere più neppure te stessa
frantumata, dispersa
da una notizia ossessa. 



SEMBRAVA FACILE 

Sembrava facile guardarti negli occhi
e riprendersi ad ad uno gli antichi paesaggi.
Sembrava facile rivolgerti la parola,
che sapeva di parola
odorando di menta e di mirtillo.
Sembrava tutto facile
ed era tutto facile dopo,
la nominalità era lucida
e conseguente ai casi.
Solo noi non fummo né potemmo
essere facili per noi stessi
né per gli altri
né per le cose impassibili,
mentre la sera a fette d’ombra,
ci tagliava in mille modi
per renderci irriflessi. 



ISOLA 

Isola è il tuo punto
solitario d’estasi
da cui proclami
versi impietosi e rari.
Intorno ribolle la vita
del mare pieno di onde
e di gonne rare.
Il corpo degli abissi. 



LA PAROLA BIOLOGICA 

Ora tu devi ridere, sempre
ridere insieme agli altri da sola,
il tuo amore sarà colui
che ti farà più ridere
col quale riderai più
che con gli altri,
il riso caccerà le parole sbagliate
farà venire una voglia dolce
e infantile di orinare.
Lascia scivolare la parola
Su tutto il corpo: dagli occhi
ai seni al ventre
e poi fino ai ginocchi
lasciala cadere con grazia
e poi rialzala e ricomincia 

*

[NEOKUKU

XI 

Zarathustra è situata
all’incirca
tra Zara e Trieste. 



XII

Se vuoi andare lontano 
fermati in tempo. 

*

XVI 

Gli angeli per custodirci
pretendono la ricevuta fiscale.  



XXVI 

Quando guerra s’avanza
l’ONU va in vacanza
a Onolulu. 

*

XXVIII

I naturali confini
sono d’erba
sia da questa parte
che dalla parte serba. 



[HAIKU]

Scende la neve
ma nessuno la vede
quando risale. 

*** 

da Acatì (2003) 

APPLAUSI 

Applausi da ipofisi l’altra sera
appena entrato in crisi
uno scroscio salutò l’ipodermoclisi
poi l’agonia seguita in diretta
intanto senza fretta suonavano
canzoni da me predilette,
a quella del padre sulla neve,
si trattava di coma reversibile,
ritornai alla coscienza tra applausi
da far crollare una stanza,
azzardai una forma d’ironia. 



ESSE. EMME. ESSE 

Quanta grandezza inutile
se lei si è ridotta per me
a una vaga amicizia
cercarla col cellulare
per tutto l’aere
come dicevano gli antenati,
per un vasto mondo
o un punto millesimale
lì trovarla con la voce
tra miliardi di voci
non ultime quelle delle stelle
ruotanti intorno
ai vecchi baci del mondo.
Cosa mi rimane, un fruscio?
Uno sciupio di sciame.
Lei che chiudeva in un verso
tutta la luce dell’universo. 



SONATA CON OBES 

Per anni sono stato obeso, umiliato e obeso,
obeso me mucho, più di cento chili
e buon peso…
fili mihi filiformi, quale peso sostenni!…
Qualcuno mi chiedeva: “Chi t’ha obeso?”
Non entravo nel paese né ne uscivo,
ero pigro, ipocondriaco e lascivo
mi salivano sul ventre credendomi passivo
mi giravano tranquilli intorno
per sentire la musa del ciccione al forno,
credendo di commuoversi per liriche sommesse
e alfine piangere per elegie compresse
si scoprivano a ridere sino a crepar la pelle
per quei versi agili e sottili, macrobiotici
che uscivano da un corpo sì vasto e molle. 

*

L’INFINITO 

Gli addetti all’immensità
si erano messi a contare le stelle
le stelle si sentivano contate
anzi secondo alcuni
perfino enumerate.
I poeti vennero in aiuto
agli astronomi e ai fisici,
con le parole immaginarono
quantità superiori di calcoli,
interi cieli catalogati
ai telescopi e riportati a colori
su carte speciali di frassino
furono superati da parole
provenienti solo dalla parola
infinito, mentre l’infinito
diventava un ottone coricato
e sempre più osservato. 



SIMPLICITER 

Quanto tempo ho perduto
cercando il cinema
sulle tue labbra.
Quante strade inutili
per arrivare al tuo cuore
che era dipinto in rosso
nelle scuole elementari,
quanti percorsi sbagliati
per farti una carezza
lieve come la linea del crepuscolo,
ti firmavi camminando
suonavi ai fianchi
le sottili note delle caviglie
e i piedi ubriachi nella polvere
potevano raggiungere in ogni momento
la banalità del mare. 

***

da Fumoir (2003) 

PAPERINO 

Ha il dono dell’ubiquità 
ora qui ora quo ora qua. 



A. C. 

Andy Capp è una coppola a mano
che a un bicchiere s’aggrappa
per non naufragare nel mare
dell’alba piena di grappa,
deluso dalla media esistenza
cosciente d’essere un media
accende solo il televisore
della sua idropica essenza.
Non crede più agli stracci
di quattro fatti di vita
quello che può ancora accadere
circola intorno a un bicchiere. 

*** 

da Livelli di coincidenza (2006) 

PALABRA 

La sola parola la devi
dire tutta, in profondo
per esteso, anche quello
che dice dietro, tutto
il tempo che occorre
tutte le altre parole
che contiene, una
sola in bilico
su se stessa



DAMOCLE 

Sul nostro capo pendono
pesanti illusioni,
ogni tanto allunghiamo
il piede in città sconosciute,
proviamo alla slot-machine
la residua fortuna. 



SCIATTERIA 

Si stanno nutrendo
della mia libertà
le cause avverse,
sono costretta a rimandare
ogni tipo d’incontro
sia spaziale che carnale,
dispeptica e costernata
io che sognavo una serata
sola con te nel bivacco,
mi volevo mettere un tacco
da grattacielo
e invece rasoterra,
voglio andarmene via,
lasciare la tipologia
dell’umanesimo formale
di questa nostra civiltà. 

*** 

da Scala condominiale (2008) 

SITO 

M’hanno oscurato
il blog sul mio
web, hanno
sporcato il mare,
si può capire
in che stato versiamo
il latte. 

*** 

da Doppio scatto (2008) 

COSA 

Prima o poi mi verrà un’idea
per migliorare la mia vita,
le idee vengono dalle cose
e si rifanno cose.
Una di esse sarà l’idea
che mi trarrà dall’impaccio,
una cosa buona e importante,
la vedrò sempre davanti
la cosa nata dall’idea. 

***

alcune poesie per le Edizioni Pulcinoelefante 

A EMILIO VILLA [2004]

Non è morto nessuno
è morto un poeta
quando muore un poeta
non muore nessuno 



SOLITUDINE [2004]

Ci manca da anni
un ospite assai caro
nel tinello nel soggiorno
nelle stanze intorno
un interlocutore raro
più importante del vicino
ci manca: Pinco Pallino.