Liliana Ugolini con Vincenzo Lauria, Donne senza tempo

Marietta ROBUSTI, Autoritratto con foglio di musica, ante 1590, Firenze: Galleria degli Uffizi (pubblico dominio / public domain via wikimedia commons)

Oggi, 4 aprile 2024, scoccano i novant’anni dalla nascita di Liliana Ugolini, che ci ha lasciato quasi tre anni fa

Nel vuoto logorante della mancanza di una “Maestra Naturale”, conforta la certezza del sodalizio amicale e collaborativo che Liliana aveva da parecchi anni instaurato con Vincenzo Lauria, mediante il collettivo Oltre Infinito e altro ancora. Questo sodalizio ha permesso che un nuovo volume di poesia vedesse la luce nel novembre 2023. Si tratta di Donne senza tempo, progetto presentato e apprezzato in alcuni concorsi letterari del 2020-2021 e ora pubblicato, nella sua veste definitiva, da La Vita Felice (scheda SBN).
Il trittico di sezioni ne annovera due di Liliana e una di Vincenzo; quest’ultimo, con umiltà quasi aquinate e spirito di gratitudine, si assume in copertina il ruolo di “partecipante” ma in realtà, oltre ad avere supervisionato il divenire cartaceo, è Autore della sezione di coda – un ottetto importante sul piano diacronico, inscenando un “tempo di contemporaneità” strutturalmente necessario. 


Ho tra le mani questo libro da un mese ormai, e resto a ogni lettura colpito dalla felicità espressiva che Liliana Ugolini ha conservato fino alla fine. In oltre quarant’anni di scrittura, e particolarmente a partire dal volgere del millennio, Liliana ha imperniato la sua scrittura più intensa sul Mito e sull’Archetipo, ha indagato Teatrino e Marionetta come prolifica metafora esistenziale, ma al contempo è stata anche una grande interprete dell’universo femminile tout court. Se questa caratteristica si è spesso ibridata con naturalezza con le altre (soprattutto con la prima, nelle eroine del Mito, in quel fil rouge che lega lavori quali Imperdonate, Palcoscenico, Cus Cus, tutti confluiti in Tuttoteatro [scheda SBN]), in questo libro postumo lo sguardo sulla donna mi si presenta schietto, “liberato” come un Prometeo vigoroso… 

…O forse trasposto in un Mito differente e composito, fatto di donne non sempre note all’immaginario collettivo, ma, volta per volta: 1) più o meno schiacciate, comunque definite “per relationem” coi loro padri pittori o mecenati (cinque talentuose pittrici “figlie di”); 2) ridotte alla considerazione del loro corpo («difetto / è il non detto del mio nome», lamenta per es. Victorine ossia Olympia di Manet); 3) infine – e questo è l’apporto di Lauria – punite solo per la loro legittima assertività o individualità, voglia di vivere e incidere. In questo senso è da menzionare e lodare l’efficace paronomasia dialettica con cui la prefatrice Laura Caccia passa da “oltre” (Oltre Infinito, ma anche oltre la linearità del tempo e della vita dell’A.), a “oltranza” e “oltraggio” come macrotesto, denominatori comuni di un libro che indaga l’abuso e, quando possibili, la resistenza e il riscatto.

La condizione femminile dipinta da Ugolini e Lauria è “senza tempo” sebbene esperita in tempi storici ben definiti, il passato e la contemporaneità (che, in anni sempre più minacciosi sotto ogni profilo, sembra appiattire anche le chance di un domani migliore). Non può non venire in mente l’attacco di Burnt Norton, il primo degli apicali Quattro quartetti di T.S. Eliot: passato e futuro paiono conglomerarsi in un presente irredimibile. O forse redimibile solo a prezzo di un duro lavoro teso a una più accesa e pugnace consapevolezza, come alcuni passi del libro sembrano suggerire tra le righe. Del resto si potrebbe interpretare il «senza tempo» del titolo anche nel senso dello spossessamento: donne ancora, e sempre, in attesa che venga posto in atto il loro tempo – l’era del pieno riconoscimento della loro personalità, talento, sfera soggettiva attiva.


Sul piano della sostanza poetica, e non solo delle proporzioni, il libro s’impernia sul suo centro. La prima sezione, Lacrimata pictura, in cui Ugolini presenta cinque “monologhi” in poesia dedicati ad altrettante pittrici, ha un taglio marcatamente biografico e scenico, sia pure con accensioni emotive, come sul finale de “La Tintoretta” ossia Marietta Robusti, figlia di Iacopo (pp. 15-16):

(…) Per la diversità fui amata
e il ritratto chiese quel lavoro disgiunto
tanto che fui chiamata Tintoretta per studio e per bravura.
Ci fu gara a Venezia fra signore modelle
e i Regnanti mi chiesero ritrattista a Corte ma
padre maestro, padre maldestro,
padre geloso, padre amoroso,
padre possesso e ossesso di no non mi fece volare.
Così restai in Venezia
e il mio trono d’onore l’ebbi alla Chiesa di S. Maria dell’Orto
dove finii
sepolta di trent’anni per un bimbo mai nato
mentre nasco ogni volta che mi vedi ritratta nella tela
scacco di vita vera guadagnato.


All’estremo opposto, nella terza sezione Cantastorie, Lauria evoca alcune martiri dei nostri tempi – anonime, coinvolte in drammi esplosi o riesplosi nella contemporaneità (stalking, femminicidio, xenofobia); oppure nomi assurti alla cronaca, come quelli di Pippa Bacca o Marielle Franco; il tutto con un linguaggio eterogeneo, misto di parossismi tecnologici e recupero del proprio dialetto licatese. Qui la poesia dedicata all’attivista brasiliana barbaramente assassinata (p. 75):


Dove il libro davvero stupisce e, come scrivevo, mi incanta è nella sezione centrale, ossia La voce dei nudi dipinti: venti ecfrasi di altrettanti capolavori – in un arco temporale che va più o meno dalla Betsabea di Memling al Nudo in blu di De Stäel – accomunati dal leitmotiv dello sguardo di un uomo, un pittore, al nudo corpo femminile. 

Qui, anzitutto, Ugolini ci regala una freschezza di espressione poetica ai propri massimi: mi viene da accostare per altezza queste prove all’ecfrasi fotografica de La Valchiria vecchia di Joel Peter Witkin – che si trova in un libro d’Arte rarissimo, Cerimonie Crudeli 1 (Morgana Edizioni, 2010; scheda SBN). In più, rispettando il canone “descrittivo” dell’ekphrasis, con penna attenta a ogni dettaglio dei quadri, Liliana riesce tuttavia a far trapelare una propria chiave interpretativa forte. Che quasi sempre va nel senso di un pre-giudizio verso la donna ritratta – stia esso dentro la storia, o nel solo trattamento (posturale, ambientale) del corpo nudo. Scelgo, tra i tanti risultati notevoli, la Danae “madrilena” di Tiziano (p. 27), che avverte la scena come inadeguata rispetto al sacrificio amoroso, terminando la poesia con un sapiente polisenso/aferesi – «non mai pagata» – che gioca tra sensualità/romanticismo (la possibile aferesi, appunto, di “ap-pagata” o “ri-pagata”) e mercificazione (come del resto, se vogliamo, fa lo stesso elemento della pioggia dorata):

TIZIANO, Danae, 1560-1565, Madrid: Museo del Prado (pubblico dominio / public domain via wikimedia Commons)

Forse il culmine simbolico dell’intero libro sta però a p. 31, nella ecfrasi de Le tre età della donna (il Klimt custodito a Roma): nei versi loro dedicati, quasi estraniandosi dal pittore e da ogni possibile mansplaining, i tre tempi della donna si raggruppano in un vorticoso «tempo moebius infinito» (che, in quanto circolarità perpetua, si sovrappone al «senza tempo» del titolo); e, insieme, in un senso di sorellanza universale (lungo tutto l’arco emotivo, dalla gioia alla disperazione); infine, oserei dire, in ideale fusione di tutte le donne cui, nel suo lungo e intenso lavoro di poeta, Ugolini ha dato voce.

Gustav KLIMT, Le tre età della donna, 1905, Roma: Galleria Nazionale d’Arte moderna (pubblico dominio / public domain via wikimedia commons)

[Liliana UGOLINI con Vincenzo LAURIA, Donne senza tempo, prefaz. L. Caccia, cover art di G. Ugolini con E. Zoi, Milano: La Vita Felice, 2023, pp. 80, EAN 9788893467698, ebook n/d]